Stop alla vendita di pane sfuso nei supermercati: cosa cambia per i consumatori

Pane sfuso nei centri commerciali e nei supermercati, arriva la svolta tanto attesa: stop alla vendita, cosa cambia per i consumatori.

Pane (Foto Pixabay)

Il pane è senza ombra di dubbio uno degli alimenti più consumati in Italia (e forse nel mondo intero). Questo prodotto viene ottenuto con la fermentazione, la formatura, la lievitazione e la cottura in forno di un impasto formato con acqua, farina e cereali. Esistono davvero tanti tipi: c’è quello integrale, quello nero, quello ad olio, quello classico (e tante altre tipologie).

Per acquistare il pane, i clienti hanno diverse opzioni: possono andare in salumeria, in panificio, in un forno, in un centro commerciale e in un supermercato. C’è una notizia che ha sorpreso tutti: il Consiglio di Stato ha vietato con una sentenza la vendita del pane con la modalità self-service nella grande distribuzione.

Pane sfuso, stop alla vendita: c’è la sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza lo scorso ottobre che modificherà anche gli stili di alcuni clienti.

Pane

Il pane può essere venduto soltanto se confezionato: stop quindi alla modalità self-service (come avviene ancora tutt’ora con la frutta) nella grande distribuzione. Qualche mese fa, una controversia fece discutere tutti. In un supermercato di Lecce, i carabinieri del NAS sequestrarono 23 chili di pane precotto, venduto in alcuni cassetti di un banco.

I clienti potevano tranquillamente prendere il prodotto con le mani e metterlo senza alcuna supervisione nella busta. Chi vende il pane precotto sfuso negli scaffali e senza etichetta rischia pesanti sanzioni e anche la sospensione dell’attività.

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Pane
Pane (Pixabay)

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“Il pane ottenuto mediante completamento di cottura da pane parzialmente cotto, surgelato o non surgelato, deve essere distribuito e messo in vendita in comparti separati dal pane fresco e in imballaggi preconfezionati riportati oltre alle indicazioni previste dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 “: questo è quello che stava riportato nella sentenza.

 

 

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