Una nuova ricerca rivela un aspetto interessante della sensibilità al glutine, che non solo non è celiachia, ma c’entra anche poco con l’intestino.
La preoccupazione per il crescente numero di casi di reazioni gravi del sistema immunitario agli alimenti è palpabile, e non sorprende che, a tavola, sempre più persone dichiarino di essere diventate intolleranti al lattosio, anche se solo un mese prima abbondavano con formaggi e latticini. Da molte diete è stato poi eliminato il glutine, ma non sempre si tratta di celiachia.
Per quello che riguarda l’intolleranza al glutine, per come capire se sei celiaco, alcuni segnali sono un campanello d’allarme, ma al contempo esiste un fenomeno diverso, che è quello della sensibilità al glutine non celiaca, la cui abbreviazione è NCGS. Questo fenomeno riguarda sempre più persone e provoca sintomi come dolore addominale, gonfiore, alterazioni delle feci, stanchezza e mal di testa.
Ma a quanto pare, la sensibilità al glutine – che appunto può arrivare a coinvolgere addirittura il 30% della popolazione – a volte non ha nulla a che vedere con l’intestino, o meglio non in maniera diretta. Già secondo alcuni studi, l’ansia alimentare può innescare un circolo vizioso, peggiorando le reazioni fisiche agli alimenti. Più ci preoccupiamo che un cibo possa farci male, maggiore sarà la risposta negativa.
Una nuova ricerca pubblicata su The Lancet Gastroenterology & Hepatology ha approfondito questa tematica, arrivando a dare risposte molto interessanti. I ricercatori hanno notato che ansia e depressione sono comuni tra coloro che soffrono di NCGS, suggerendo che la psicologia potrebbe essere una causa di alcuni dei sintomi intestinali.
Si tratta, in sostanza, del cosiddetto effetto nocebo, che si verifica quando una persona crede che un alimento o una sostanza le causerà problemi, anche se non è realmente dannoso. I ricercatori hanno somministrato al proprio panel di 83 persone piatti come colazioni o pranzi, che potevano contenere oppure no glutine, per poi osservarne i risultati.
Quattro i gruppi che si sono formati: il primo comprendeva chi credeva di mangiare glutine ed effettivamente era così; nel secondo gruppo c’erano persone che pensavano di mangiare glutine, ma in realtà non lo facevano; un altro includeva i partecipanti che non sapevano di mangiare glutine, ma lo assumevano effettivamente; infine, c’erano quelli che non sapevano di consumare glutine e non lo mangiavano.
Stando a una scala valoriale da uno a 10, il gruppo che credeva di mangiare glutine e lo consumava effettivamente ha riportato i sintomi più gravi, con una media di 1,66, nel secondo gruppo la media scendeva a 1,17, ma l’importanza del risultato è nel terzo gruppo: chi mangiava glutine senza saperlo ha registrato solo 0,6 cm di sintomi, infine anche nel quarto gruppo i sintomi sono stati minimi.
Perché sono importanti i risultati del terzo gruppo? Perché evidentemente la consapevolezza riguardo alla presenza del glutine influisce in modo significativo sui sintomi. Ovvero le aspettative psicologiche legate al cibo hanno un impatto maggiore sui sintomi rispetto alla reale presenza del glutine negli alimenti. Insomma, l’effetto nocebo è un fenomeno reale anche nel caso della sensibilità al glutine non celiaca (NCGS).
Dunque, sul gluten free, sfatiamo falsi miti: che cosa significa, perché non mangiare glutine e come si capisce se si è intolleranti. La celiachia è una malattia importante e nulla ha a che vedere con la NCGS, che a quanto pare può essere spiegata dal legame tra intestino e cervello, noto come asse intestino-cervello, che dimostra come il nostro stato psicologico influenzi il funzionamento dell’intestino e viceversa.