Ciò che portiamo in tavola è solo l’atto finale di un lungo processo di lavorazione. In diversi casi però, come ad esempio quello dei pomodori, non sempre vengono rispettati i diritti dei lavoratori e dei braccianti. Scopriamo insieme come vengono coltivati questi ortaggi.
Mentre felicemente portiamo in tavola alcuni alimenti alla base del nostro menù quotidiano, a pochi kilometri da noi diverse persone si ritrovano al limite dello sfruttamento lavorando nei campi.
I braccianti che coltivano agrumi e pomodori in particolare svolgono le loro mansioni sotto un sole cocente, la loro paga equivale a una miseria per i compiti che svolgono e molto spesso si ritrovano nel grande contenitore del caporalato.
La stragrande maggioranza di essi è di origine straniera, i quali devono fare i conti con il loro sostentamento di vita ed accettano qualsivoglia lavoro per vivere.
Andiamo dunque a scoprire come vengono coltivati i pomodori e la durissima vita dei braccianti nei campi dell’agricoltura.
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Terminate le ore di lavoro, il rientro nella loro dimora è tutt’altro che accogliente. Sono infatti circa 10.000 i migranti che vivono in abitazioni fatiscenti, roulotte o baracche dove manca perfino l’acqua o l’elettricità.
A darci un’immagine di tutto ciò è la prima indagine svolta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali insieme all’Associazione Nazionale dei Comuni: essa prende il nome di “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare“.
L’indagine ha evidenziato che il 78,8% dei braccianti vive in case private mentre la restante parte abita in strutture alloggiative temporanee attivate da soggetti pubblici o privati.
Ogni giorno queste persone hanno di fronte a loro numerosi ostacoli. Il primo a manifestarsi è il mancato trasporto pubblico nelle loro vicinanze.
Per tale motivo sono costretti a percorrere kilometri e kilometri a piedi o in bici per raggiungere la prima fermata del bus o del treno disponibile.
Spesso mancano servizi essenziali come l’acqua e la corrente elettrica. Gli interventi sociosanitari e, più in generale, tutti quelli finalizzati a favorire l’integrazione dei migranti, risultano praticamente assenti.
Chi vive in tali luoghi non ha a disposizione assistenza sociale né quella dei sindacati. Tutti questi fattori non fanno altro che aumentare la forza del caporalato.
La dignità ed i diritti sul posto di lavoro dovrebbero essere una delle prime cose tutelate altrimenti andrebbe a cadere quel contratto immaginario stipulato tra cittadino e stato.