Giovane, verace, passionale quando parla dell’Umbria e dei prodotti di questa piccola, ma ricca, regione. Paolo Trippini è l’unico membro umbro di Ambasciatori del Gusto. Lo siamo andati a trovare nel suo ristorante.
Potrebbe sembrare apparentemente facile per un ragazzo che cresce nel ristorante di famiglia non solo avvicinarsi, ma sviluppare anche una personale idea di cucina. Il discorso si fa, forse, un po’ meno semplice quando questo stesso ragazzo (ancora bambino) si ritrova prima in una situazione di trattoria dalla gastronomia locale, contesto che diventa poi più ambizioso e di maggiore respiro culinario. Fino a trasformarsi in una sorta di ibrido tra le due anime: un ristorante sì pop e gourmet, ma che ritorna alle sue origini “umbre“.
È la storia di Paolo Trippini, giovane chef entrato da poco nell’associazione Ambasciatori del Gusto (è l’unico membro umbro) e che la sua vita l’ha passata praticamente tutta in cucina. Il nonno aprì nel 1964 una trattoria divenuta in breve tempo tra le più conosciute della zona e che, successivamente, il padre trasformò in un locale più moderno e ambizioso. Fino a quando lo stesso Paolo non ne è diventato responsabile e chef, mantenendo alto il livello qualitativo ma tornando a trattare materie prime del territorio. Paolo Trippini lo abbiamo incontrato nelle sale (rigorosamente chiuse) del ristorante, e ci ha raccontato la sua storia e la sua cucina.
Siamo a Civitella del Lago, un piccolo comune di 400 anime in provincia di Terni, al confine con il Lazio, che si specchia sul Lago di Corbara. A due passi dalla piazza locale sorge il “Trippini“, locale inserito nelle maggiori guide gastronomiche italiane e segnalato anche nella Guida Michelin.
Paolo Trippini, l’intervista al ristorante
La chiacchierata con lo chef Trippini parte dal suo recente ingresso nell’associazione Ambasciatori del Gusto, nella quale Paolo è l’unico membro umbro. “Per me è stato un grande orgoglio entrare nell’associazione, era già un paio d’anni che progettavo di farlo e finalmente mi sono deciso”. Ora Paolo potrà, grazie alle iniziative di ADG, far conoscere in giro per il mondo la gastronomia umbra. A maggior ragione essendo l’unico rappresentante regionale. “Un po’ di responsabilità nell’essere l’unico membro umbro c’è” confessa, “ma sono anche molto orgoglioso di questo, poter rappresentare la mia regione in un’associazione come ADG, che si fa promotrice di attività di valorizzazione della cucina italiana, è veramente un onore. Essere rappresentante della gastronomia umbra è una grande responsabilità ma me la prendo volentieri perché amo la mia regione“.
Una regione piccola ma ricca dal punto di vista gastronomico, specialmente nella stagione autunnale. “L’autunno la definiamo la “primavera umbra“; tra funghi, tartufi, selvaggina questo è il periodo migliore per trattare e valorizzare le materie prime che abbiamo. Cito anche i legumi, dai fagiolini del Trasimeno sino alle lenticchie di Castelluccio di Norcia, grande spazio poi lo trovano salumi e formaggi. L’offerta umbra è sicuramente variegata.”
Come detto il ristorante ha conosciuto modifiche ed evoluzioni nel corso dei decenni, sino a diventare il locale di cucina gourmet e territoriale che è oggi. Paolo racconta la sua storia, che si intreccia inevitabilmente con quella del Trippini: “Sono alla terza generazione di un ristorante che esiste da 60 anni. Quando sono diventato chef, nel 2006 a 27 anni, la responsabilità si era fatta molto sentire anche perché mio padre aveva precedentemente cambiato la tipologia di cucina; non più tradizionale umbra e necessariamente di lago ma più internazionale e tendente al gourmet. Nei miei primi anni sono stato seguito molto da papà che, in cucina, quando uscivo un po’ troppo dagli schemi mi rimetteva sulla retta via. Con il tempo ho capito cosa voleva dirmi e ho raggiunto una maggiore maturità riuscendo ad applicare le mie idee di cucina all’utilizzo di prodotti locali.” Ci rivela lo chef che furono le esigenze di marketing a dettare l’evoluzione da trattoria a locale gourmet. “A inizio anni 90 qui nella zona del lago c’erano tante trattorie, molte delle quali simili tra loro nell’offerta gastronomica e nel tipo di location. Quindi mio padre, per differenziare il nostro ristorante, ha optato per un cambio di passo cercando di elevare il tipo di cucina. Ha iniziato a sperimentare e a fare anche ricerca di prodotti non necessariamente locali.” Territorialità e prossimità sono concetti sui quali poi Paolo Trippini è tornato per dare la sua impronta personale al ristorante, pur mantenendo alto e ambizioso il livello della cucina.
Il focus del nostro discorso, poi, non può che spostarsi sul momento attuale. In mezzo a tanto caos e incertezza uno chef rischia di “distrarsi” dal suo lavoro? C’è pericolo che il processo creativo ne risenta? “Fortunatamente siamo rimasti abbastanza focalizzati, grazie anche a nuovi stimoli che ci ha dato un diverso tipo di clientela. Storicamente abbiamo sempre lavorato con stranieri ma negli ultimi mesi siamo tornati a ricevere la gente del luogo. Molti clienti magari abitavano in zona ma nemmeno ci conoscevano. È stato molto stimolante anche perché, forse per la prima volta, abbiamo lavorato con una clientela diversa da quella alla quale eravamo abituati. Questo ha mantenuto alto il nostro livello di attenzione e impegno”. Il delivery ora, inevitabilmente, è la strada intrapresa dallo chef e dal suo staff: “Lo facciamo ma in modo un pochino diverso. Consegneremo non il piatto finito ma dei kit con prodotti da rigenerare a casa e che potranno poi essere assemblati direttamente dai clienti.” L’offerta? Non molto discostante da ciò che si trova in carta al ristorante, tanto che molti piatti sono proprio quelli del menu del Trippini. Tra le proposte, infatti, la gente potrà gustarsi a casa il Baccalà con crema di broccolo romano e amarene, la Quaglia con frutti rossi e ricotta, i Lombrichelli al tartufo o gli Gnocchi di patate con ricotta e menta.